da A,B,C Solidarietà e pace – Guinea Bissau
Guinea Bissau – Non dire bugie e non vantare facili vittorie
Dice il maestro Valentim: “Siamo in Guinea Bissau e il popolo ha delle caratteristiche dalle quali non si può prescindere. La scuola e la cultura che proponiamo sono quasi per intero Occidentali e noi per farci accettare dobbiamo mediare e trovare strumenti didattici e linguistici idonei che integrino le due culture, quella indigena e quella d’importazione. E questo è necessario per dare ai nostri bambini e a questo Paese un futuro, ‘senza dire bugie e vantare facili vittorie’, come amava dire Amilcare Cabral il padre della Patria, il protagonista della nostra indipendenza”.
E allora visto che Valentim parla dell’istruzione parliamo volentieri delle scuole che aiutiamo premettendo che la totalità degli alunni che frequenta le tre scuole sostenute, quella di Cubonge (costruita da ABC nel 2006), Binibaque e Infandre, vive nei villaggi vicini e raggiunge le aule, dove trascorrerà quasi cinque ore al giorno, percorrendo a piedi sentieri strappati alla foresta con il machete e il fuoco.
Infatti, da quelle parti non ci sono strade asfaltate, elettricità, acqua, gas sostituiti dai sentieri, dalla luce del sole, dai pozzi (molti in ce-
mento costruiti da ABC o, in alternativa, tradizionali scavati nella terra), dal carbone (che si ottiene bruciando la foresta) o dalla legna.
Non ci sono medicine, negozi, mezzi pubblici, non esiste neanche la trazione animale perché non prevista dai modelli culturali dell’etnia Balanta che prevale nella zona. E così, mentre aspettiamo all’ombra di una “mangueira” per fare le foto che invieremo ai sostenitori italiani, li vediamo arrivare alla “spicciolata”, quasi tutti con un piccolo carico di rami secchi raccolti nella foresta durante il cammino. Si tratta della legna che servirà per alimentare il fuoco necessario a cuocere il pasto quotidiano consumato nella “cantina escolar”, sempre e comunque una specie di semolino saporito e nutriente fornito dal Pam (Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite). Potrebbe anche interessare sapere che se vuoi “spedire una cartolina“ devi andare alla posta centrale di Bissau, la capitale, e che tutto e tutti, dalle scuole ai pochi edifici in muratura esistenti, dalle vecchie auto alle biciclette, dai cani agli esseri umani, risentono del clima terribile,
della difficoltà a farsi curare e a reperire farmaci. E tutto è “vittima” della “mancata manutenzione”. Insomma, stiamo parlando di un Paese dove la realtà stordisce e assopisce sensi e sentimenti in una specie di anestesia collettiva che condiziona la mente e fa scambiare la rassegnazione per serenità.
In questo contesto, lo Stato non sembra molto interessato a far funzionare le scuole. L’istruzione non interessa perché dà i suoi frutti a lunga scadenza. Qui, invece, è necessario trovare subito soldi, possibilmente molti, senza tanti scrupoli e tra tutte le categorie e gli strati sociali, sospinti dal comune bisogno di sopravvivere. Nessuno se la sente o è capace di cambiare la situazione, di valutare possibilità diverse. Semplificando le scelte potrebbero essere ridotte a due: aspettare e vedere se questo splendido e paziente Paese riesca a individuare la sua strada da solo, foss’anche tra cent’anni, oppure dare una bella spinta per capire se sia possibile trovare una soluzione rapida,
magari costringendo la comunità internazionale e i Paesi dell’Africa ad intervenire dall’esterno con una forza multinazionale di pace che riformi e rimetta a posto le cose. Molti osteggiano questa possibilità, ma l’orgoglio nazionale, in certe circostanze, serve a poco e sembra assolutamente ingiustificato perché il Paese è già bell’umiliato. Non la gente, ma le sue classi dirigenti che sopravvivono soltanto grazie agli aiuti internazionali che arrivano.
Facendo un paragone azzardato tra l’epoca coloniale e quella di oggi, potremmo trovare molte somiglianze, a cominciare dal disinteresse verso le esigenze della popolazione, dalla scuola alla salute, dalla crescita economica alle infrastrutture, per finire ad un sistema vessatorio e discriminante nella sostanza. Allora i protagonisti in negativo erano i portoghesi, oggi lo sono l’impotenza e incapacità dei politici. E allora ogni tanto ci chiediamo, da sempre ammiratori dell’artefice della lotta coloniale contro il Portogallo, cosa farebbe oggi Amilcare Cabral che, tanto per dirne una, aveva organizzato l’esercito rivoluzionario e fondato il PAIGC, Partito per l’Indipendenza della Guinea Bissau e di Capoverde? Cosa farebbe oggi Amilcare Cabral che aveva avviato, prima d’ogni altra cosa, le “scuole del mato”, dove venivano alfabetizzati adulti e bambini? Cosa farebbe Amilcare Cabral che aveva addirittura invitato, in verità un poco velleitariamente, il grande pedagogista brasiliano Paulo Freire a collaborare nell’organizzazione della scuola in Guinea Bissau? La risposta è facile: costruirebbe un altro esercito per liberarsi di questa gente, come aveva fatto con il colonialismo. Ma i tempi sono cambiati ed è, forse,
meglio così. Anche noi siamo a favore della pace, anche perché la morte dà torto sempre e comunque a tutte le vittime, senza distinzione.
Intanto le scuole, non però quelle autogestite, sono spesso chiuse e gli alunni se ne vanno in giro, mentre l’analfabetismo, anche quello di ritorno, aumenta. Anche da quelle parti si legge poco e a Bissau non esistono librerie. Ci sono soltanto un paio di “negozi” dove, tra
le altre cose, si può trovare qualche testo. Uno, ad esempio, “Paz e bem”, ha pochi volumi e quasi esclusivamente di carattere religioso.
“Mavegro”, l’altro, invece, è un grande magazzino dove si possono comprare dai picconi a vecchi numeri della rivista “Soronda” e qualche libro sulla Guinea Bissau. C’è, infine, l’INEP, l’Instituto Nacional de Estudos e Pesquisa, dove, se sei fortunato, disseppellendoli
da sotto qualche bancone e dalla polvere, puoi trovare vecchie riviste e libri. Sono il ricordo dell’impegno culturale e sociale dei primi anni dell’indipendenza di questo splendido e terribile Paese. Inoltre, le uniche pubblicazioni periodiche che conosciamo, “Soronda”
(della quale peraltro abbiamo in archivio ABC tutta la serie) e “il Boletim economico” (in buona parte in nostro possesso), sono anni che non sono più stampate per mancanza di fondi e di volontà. C’è, insomma, rassegnazione. E così, mentre tutti aspettano non si sa bene cosa, la Guinea Bissau va alla deriva rischiando di affondare sotto il peso dell’arretramento sociale, economico e culturale. E, siamo consapevoli di ripeterci, il disorientamento generale trova conferma nell’equivoco della lingua ufficiale che in Guinea Bissau è il portoghese, la lingua di Fernando Pessõa, che quasi nessuno parla preferendogli il criolo. Le autorità, però, per non perdere qualche aiuto internazionale dei Paesi della comunità lusofona, continuano a imporlo come prima lingua nelle scuole e il Portogallo prosegue a spedire i professori delle varie ONG a fare i corsi di aggiornamento degli insegnanti guineensi. E’ il prestigio di una lingua, parlata da più di 180 milioni di persone, che va comunque conservato e, possibilmente, accresciuto. E così, anche se tutti sanno che la maggior parte dei professori continua a fare lezione in criolo, o peggio in Balanta, non gliene importa niente a nessuno perché “o que conta” è salvare una finzione culturale. E poi, quasi tutti, senza ragionare su quel che è utile ad un popolo, cercano il loro interesse. Cosa farebbe Amilcare Cabral se ritornasse?
Noi, che ci occupiamo soprattutto di agricoltura, per quel poco che possiamo interveniamo, non avendo le competenze necessarie, anche nelle scuole sostenendo chi se ne occupa. Nel nostro caso collaboriamo con le suore dell’Immacolata che conosciamo da molti anni e che sono a Mansoa con noi. E così sosteniamo l’autogestione (semplificando: si garantisce il funzionamento della scuola pagando il
salario degli insegnanti, i loro corsi di aggiornamento, la manutenzione) delle scuole di Cubonge, Infandre e Binibaque. Nelle tre scuole, nell’anno scolastico 2017-2018 appena concluso, le iscrizioni sono state in tutto 1.082 (615 maschi e 467 femmine). Per la precisione a Cubonge gli alunni sono stati 110 (57 M e 53 F), a Binibaque 365 (185 M e 180 F) e a Infandre 607 (373 M e 234 F). E’ tra questi 1.082 alunni che sono il centinaio di Sostegni a Distanza avviati da ABC Italia.
Anche se i Sostegni a Distanza nelle tre scuole sono 100, nel progetto sono “passati” circa 1.084 alunni e alunne. Il problema, che molti amici soci conoscono bene, è che ogni volta che facciamo le foto da spedire loro troviamo nuove difficoltà. Molti bambini/e non sono
presenti, altri hanno cambiato scuola, alcuni sono malati e, purtroppo, altri sono morti. Sono tanti anche i “desistentes”, ovvero quelli che non vanno più a scuola per i motivi più diversi (devono assistere le mucche al pascolo, crescere fratelli e sorelli più piccoli, aiutare
in casa, lavorare nella risaia). E allora siamo costretti a cambiare affido e capita pure che in cinque anni l’amico Giuseppe si veda cambiare l’affidato/a ben quattro volte. Anzi, con quello di quest’anno, cinque volte e allora noi gli scriveremo qualcosa a parte per chiedere scusa. Ma non sappiamo cosa fare! Per fortuna ci sono anche soci, pochi per la verità, che continuano ad avere lo stesso alunno/a per molti anni. Per non parlare poi delle difficoltà nel riconoscere gli affidati perché magari, da un anno all’altro, hanno cambiato il nome (spesso legato alle circostanze della vita personale e familiare), mentre è sempre difficile stabilire l’età che spesso è presunta in quanto non tutti sono iscritti all’anagrafe locale dove tutte le informazioni, così come nei registri scolastici, sono riportate rigidamente a mano con scritture spesso indecifrabili e con errori ortografici.
E noi, che conosciamo un poco questa realtà, non finiamo mai di meravigliarci e alle parole e semplificazioni di quanti ritengono sufficiente un po’ più di cooperazione allo sviluppo per risolvere il problema dei flussi migratori.