Il sostegno a distanza per i figli di operai con ABC
Un lungo articolo, appena pubblicato tra le news del sito dell’associazione A,B,C, Solidarietà e pace, racconta la nascita del sostegno a distanza per i figli degli operai della Zastava, una fabbrica di auto, armi e macchinari fondata nel 1853 ed attiva fino al 2008 nella città serba di Kragujevac.
Bosnia / Serbia – Kragujevac, invecchiamo e… lasciateci dire!
27/05/2013 – 4.17: Solo per dovere di cronaca, e anche con un poco di autocompiacimento, amiamo ricordare come nacquero gli affidi a distanza (ora si chiamano SaD, Sostegni a Distanza) dei figli di operai della “Zastava”, ramo auto, di Kragujevac in Serbia. Li abbiamo inventati noi di ABC e non stando “a distanza”, ma recandoci sul posto. Infatti, giungemmo a Kragujevac pochi giorni dopo i bombardamenti della NATO per testimoniare di persona la protesta e la solidarietà degli italiani. La Ruzica, la Rajka e altri dirigenti del Sindacato, che allora si chiamava “Unitario”, ci ricevettero con molta cortesia, ci fecero visitare i padiglioni ridotti a un ammasso di macerie e ci portarono poi nell’ufficio per i convenevoli di rito. Fu allora che, tra una tazza di caffè alla turca e un bicchierino di “rakja”, proponemmo di estendere alla “Zastava” l’iniziativa delle adozioni a distanza, che avevamo già intrapreso in alcune scuole della Serbia. Il sindacato si riservò di decidere. Passò un mese e mezzo ed ecco arrivarci un fax datato 2 giugno 1999. Titolo: “Elenco per borse di studio a figli di operai della Zastava”. Seguivano nome, cognome e anno di nascita di cento bambini. Chiudevano il fax la firma e il timbro del sindacato. Niente altro. Ma ci bastava, almeno per il momento! Corremmo alla redazione de “il manifesto”, che subito volle aiutarci con articoli di divulgazione e di sostegno e così, nei giorni successivi, fummo tempestati da telefonate di adesione da tutt’Italia, tanto che presto potemmo chiedere a Kragujevac ulteriori elenchi di bambini. Nel frattempo – e ne siamo stati sempre ben lieti – altre realtà associative e sindacali italiane intrapresero iniziative analoghe alla nostra.
Ormai la “Zastava” è il maggior punto di riferimento, anzi l’emblema stesso della solidarietà e dell’amicizia tra lavoratori serbi e italiani. Solo che Kragujevac non è l’unica città della Serbia. Che ne è delle altre? Per quel che ci risultò allora, ad esempio, a Kraljevo era presente l’associazione “Un Ponte per” a portare aiuti periodici; a Nis ottime iniziative erano svolte dal “Consorzio italiano di solidarietà”; di Pancevo, dopo che ABC era intervenuta acquistando molte e moderne attrezzature tecniche per il locale Istituto d’igiene ambientale, si interessò la Provincia di Ravenna. Altrove, invece, erano stati avviati gemellaggi a livello di Comuni grandi e piccoli con scambi di visite tra scuole, gruppi di giovani, aiuti ad ospedali e così via.
Tornando alle fabbriche, c’è da aggiungere, per quanto ci riguarda più direttamente, che altri sindacati serbi, saputo della “Zastava”, non tardarono a contattarci. Il 21 giugno 1999 ricevemmo, dal sindacato della “Mašinska Industrija” di Nis, un fax del seguente tenore: «Cari amici, durante i 77 giorni dell’aggressione della NATO al nostro Paese, la nostra fabbrica è stata pesantemente bombardata. Distrutti buona parte dei capannoni e dei macchinari. Siamo costretti a lavorare con quel poco che resta, accontentandoci del minimo salariale per sfamare le nostre famiglie. Perciò ci rivolgiamo a voi”. Analogo fax, un mese dopo, dalla “Elektronska Industrija” della stessa città. E’ così che queste due grandi fabbriche di Nis si aggiunsero alle tappe dei nostri viaggi semestrali per la consegna delle “borse di studio” a bambini serbi. Quanto alle scuole – di Backa Topola, di Krivaja, di Novi Sad, di Belgrado-Rakovica, di Niska Banja, di Donja Vrezina, di Pale, di Lukavica, di Rogatica – i giovani che ebbero la borsa di studio erano, e sono, per la maggior parte, profughi da tutte le guerre jugoslave: Croazia (dal 1991), Bosnia-Erzegovina (dal 1992), Kosovo (1999). Per chi soffre non ci sono guerre giuste. Un papà scrisse da Belgrado: «Da quando la NATO ha aggredito il nostro popolo, il nostro bambino è rimasto traumatizzato, come tanti altri. Di notte sogna ciò che ha subito durante la guerra, e anche dopo, poiché l’UCK non ci ha lasciato vivere a Pristina. Ci hanno cacciato dalle nostre case, hanno ucciso e incendiato. Così adesso ci ritroviamo senza niente, alla disperazione.
Aiutateci!». Voi, amici soci, lo state facendo ancora! E, come hanno detto alcuni bambini serbi, «allora non è vero che tutto il mondo ci ha abbandonato!». Ma il tempo passa e tra poco, dopo aver chiuso i progetti di Donja Vrezina (25 alunni affidati), a Nis di sostegno alla Machinska Industrjia (73), chiuderemo quello di Belgrado (83), Novi Sad (81) e della Elektronska Industrjia (89). Li chiudiamo non perché i problemi siano stati risolti, piuttosto perché ne abbiamo anche noi in Italia. Meglio non fare graduatorie delle disgrazie!
Per approfondire: