da Un ponte per: nuovo centro per le donne a Mosul

Nel Centro per le Donne che abbiamo deciso di aprire a Mosul dopo la liberazione da Daesh, tante sopravvissute alle violenze trovano conforto. E nuova forza, per ricominciare a vivere.

 

Prima sono arrivate le pressioni per modificare il proprio abbigliamento. Poi il divieto per le donne di andare all’università. Finché, alla fine, uscire di casa da sole è diventato impossibile. Bisognava essere accompagnate da padri, fratelli, mariti. Per quasi tre anni, questa è stata la vita quotidiana a Mosul, in Iraq, città scelta da Daesh (Stato Islamico) come sua roccaforte.

Per questo, diciamo sempre che ogni donna, a Mosul, è una sopravvissuta alla violenza di genere. In gergo tecnico si chiamano “Gender Based Violence (GBV) survivors”. Nella realtà, sono donne cui è stato confiscato il presente, finché sulla propria città ha imposto il suo controllo lo Stato Islamico.

Solo adesso la vita può ricominciare, partendo dalla cura dei traumi, dal sostegno fra donne.

Per questa ragione, a Mosul abbiamo deciso di aprire un Centro di sostegno per le “GBV survivors”, le sopravvissute che lottano per riconquistare il proprio presente. Lo abbiamo fatto per accompagnare e stare al fianco di donne, bambine, bambini e uomini che in questi anni hanno subito violenze.

Insieme a noi lavorano uno psichiatra, 4 psicologhe e 7 operatrici sociali, con cui ci spostiamo anche nei quartieri più difficili di una città ancora tutta da ricostruire. Sono state oltre 1.000, in questi primi mesi di lavoro, le persone che siamo riuscite/i ad assistere.

Dei servizi di sostegno psicologico e sociale non beneficiano soltanto le donne e le ragazze di Mosul che abbiamo raggiunto. Ma anche – e soprattutto – le ragazze del nostro staff.

Ruba è stata la prima assunta. Aveva appena ottenuto la laurea e stava per iscriversi alla Specialistica quando Daesh ha conquistato la città. Dopo 3 anni di reclusione però ha bisogno di lavorare per mantenere la famiglia. E’ contenta di farlo con noi, perché grazie ai training che abbiamo organizzato “è come se fossi tornata a studiare”, ci ha raccontato.

Maha è rimasta sola, dopo che il marito è morto calpestando una mina. Anche lei è rimasta chiusa in casa per 3 anni: al massimo, ha respirato l’aria fresca del suo giardino. E’ caduta in depressione. Ma dopo la liberazione da Daesh si è rimessa in gioco: ha finito l’università, e si è laureata in Psicologia. Quando ha chiesto di lavorare con noi ne siamo stati entusiasti, e oggi trae la sua forza dall’aiutare e sostenere altre donne come lei. Sopravvissute, che non hanno perso la voglia di vivere e ricominciare.

Al nostro Centro sono collegate le attività di sostegno psicologico alle donne in altri Centri di salute di base, in alcuni dei quartieri più poveri della città. Le persone hanno cominciato a fidarsi e a capire che era possibile trovare un luogo, finalmente, dove parlare e liberarsi del male che li ha occupati negli ultimi anni.

A Mosul la vita sta ricominciando, a partire dalle donne.

I nostri Centri, come quelli di altre organizzazioni locali, sono pieni di persone che cercano sollievo. Le donne hanno sofferto la clausura forzata, il divieto di lavorare e di essere presenti nello spazio pubblico. Ora se lo stanno riconquistando. Anche grazie a chi ne ascolta i traumi.